Le marche sono come le persone. Quando si pensa a una strategia di marca, questa similitudine si usa fin dalla notte dei tempi. Ma c’è una novità: da qualche anno a questa parte le marche smaniano per trasformarsi in persone, si comportano da persone, usano i mezzi di comunicazione che erano dedicati alle persone.
È un cambiamento epocale, e non tutte le marche sono pronte.
Breve storia dell’approccio-avere nel marketing.
Dal secondo dopoguerra in poi gli elettrodomestici iniziarono a diffondersi su larga scala. Per la prima volta le macchine facevano i lavori domestici al posto delle persone: lavavano i piatti, lucidavano i pavimenti, frullavano, tritavano, affettavano. Nasceva una nuova alleanza, quella fra le marche e le persone.
L’automobile, le vacanze d’estate, la televisione: se per le famiglie la modernità ha segnato la nascita di un nuovo periodo di benessere, per le marche è stato l’inizio di un’epoca di grande prosperità. Una ricchezza che in Italia ha raggiunto il suo apice negli Anni Ottanta, con l’illusione di un benessere senza fine.
Accadono tante cose a livello politico, economico e sociale. Il craxismo, la saturazione dei mercati, il riflusso. Nel mondo della marca si consolidano le moderne tecniche di marketing, le persone diventano consumatori. In questo periodo si radica quello che parafrasando Fromm chiamo: l’approccio-avere.
L’approccio-avere è una sorta di tradimento del consumatore. Per una complessa serie di motivi che spaziano fra sopravvivenza e spasmodica ricerca di prosperità, le marche smettono di svilupparsi e comunicare secondo un principio di umana utilità.
L’approccio-avere si esprime con una strategia marca-centrica che nella maggior parte dei casi risponde alla domanda fondamentale: “cosa è bene per la marca?”.
La perdita del controllo, un cambiamento epocale.
Fra il 2000 e il 2005 Internet esplode come mezzo di comunicazione globale e il mondo entra nell’era digitale. Nascono i primi blog e poi i social network. Di conseguenza arrivano i primi blog aziendali e l’uso da parte delle marche di piattaforme social come YouTube.
In questi anni iniziano i primi tentativi di essere da parte delle marche.
Ma se nell’epoca moderna la comunicazione era un dominio esclusivo delle marche, nell’epoca digitale i commenti delle persone entrano violentemente in questo territorio. È una pietra miliare nella storia del marketing: mentre tentano un percorso di umanizzazione, per la prima volta le marche perdono il controllo totale della loro comunicazione .
La Strategia-Essere.
Le marche dovrebbero comprendere che per essere umane non basta indossare un abito informale su una pagina di Facebook.
Se vogliono parlare alle persone senza ambiguità, devono abbandonare il vecchio approccio “dell’avere” e abbracciare in modo totalizzante una nuova filosofia strategica: quella “dell’essere”. Con la Strategia-Essere il percorso strategico subisce una svolta importante perché la domanda fondamentale non è più “cosa è bene per la marca?” ma diventa: “cosa è bene per l’uomo?”.
L’obiettivo è sempre quello di vendere, ma il nuovo paradigma dell’essere definisce percorsi strategici più sostenibili, coerenti con i nuovi mezzi di comunicazione, e spesso inaspettati.
Le marche-avere, al mattino si alzano dal letto con una sola domanda: “come faccio ad avere successo?”. Per le marche-essere la domanda è: “come faccio a esprimere al massimo il mio talento?”. Due strade totalmente diverse che portano ad azioni e atteggiamenti a volte persino in contrasto fra loro.
Nel primo caso denaro e successo sono l’obiettivo, nel secondo sono una conseguenza. Nel primo caso la marca sembra piena di energie, ma in realtà è debole, isterica, timorosa. Nel secondo è centrata, forte, radicata, custodita nel cuore di chi l’ha scelta.
“Cosa è bene per l’uomo?”
“Come faccio a esprimere al massimo il mio talento?”
Una domanda che guarda fuori, una domanda che guarda dentro. Questo è il punto di partenza per le prossime riflessioni su una strategia di marca autentica e futuribile.