Se chiediamo ai nostri conoscenti cosa pensano dell’informazione ricevuta nel periodo di isolamento, il dato che emerge è una delusione diffusa e la consapevolezza di non sapere nulla di certo, che la verità sia scivolata via in mezzo a un frastuono di opinioni.
Proprio nel momento in cui la ricerca di punti fermi era vissuta come un’ancora di salvezza si è detto tutto e il contrario di tutto. Il risultato è stato uno stordimento su scala globale con un crollo della credibilità dei media e delle istituzioni che non ha precedenti nella storia e che – insieme alla polarizzazione – rappresenta un trend da approfondire in vista delle future strategie di marca.
La credibilità è la nuova moneta.
Quando stampa e istituzioni non hanno più rilevanza e il presidente del consiglio è costretto a parlare a reti unificate per fare ordine fra i messaggi, la nuova moneta della comunicazione diventa la credibilità.
Le marche che nei prossimi mesi lavoreranno in qualche modo per rinforzare la loro credibilità avranno più possibilità di essere considerate. C’è una fame di vero che non è stata saziata, e questo vuoto rimarrà a lungo nel tessuto sociale.
Come lavorare sulla credibilità della propria marca.
Molte marche, a modo loro, possono lavorare sulla credibilità. Quelle eccellenti che sono sempre state coerenti con solidi valori e azioni concrete – come Patagonia – troveranno la strada in discesa.
Qualche marca potrebbe arrampicarsi sugli specchi e farlo anche bene. Facebook ci ha provato con questa operazione di purpose-washing ben confezionata da Droga5.
Per tutte le altre ecco qualche suggerimento, ma è utile considerare che ogni marca ha il suo percorso, che è peculiare e non replicabile, e che non esistono ricette universali.
- Certificazioni:
credibilità e autorevolezza vanno di pari passo. Comunicare le certificazioni che sono rilevanti per i propri clienti diventerà un elemento vieppiù strategico.
- La filiera tracciata:
anche credibilità e rassicurazione vanno di pari passo. Le marche che possono raccontare la propria filiera hanno un punto a favore. La filiera è spesso una storia bella da raccontare, ma farlo in modo originale non è facile.
- Provenienza locale / fatto in Italia:
non sempre è sinonimo di qualità, ma viene percepito come più credibile, specialmente nei periodi di insicurezza dove “l’altrove sconosciuto” diventa una minaccia.
- Testimonial reali:
un cliente contento è credibile. Inoltre l’uso dei testimonial non ha visto alcun tipo di innovazione negli anni. Riuscire a trovare un format nuovo e fresco sarebbe differenziante.
- Porta un amico:
laddove fosse possibile, attivare dinamiche di member get member è premiante (per gli stessi motivi di cui sopra).
- Lavorare con e per le community:
spesso si dice: “la marca dovrebbe entrare in quella community“. Sbagliato. Sostituitelo con: “la marca ha tutti gli elementi per essere utile a quella community“. Oppure costruitene una vostra. Sono entrambi percorsi a lungo termine che se fatti bene danno ottimi frutti. (Vedi Reebok con il crossfit).
- Essere socialmente utili:
una marca che fa cose socialmente utili è una marca credibile, ma solo se c’è coerenza su tutto. Altrimenti diventa il solito x-washing. (La moda del momento parla di abbandonare lo storytelling per lo storydoing. Io penso che uno non debba escludere l’altro.)
- Ripartire dai valori:
ripartire dai valori significa ridisegnare il modo in cui la strategia diventa cultura e azione. Ma ci deve credere prima di tutto il CEO. Sono molto poche le aziende che riescono ad attuare questo approccio, ma sono più credibili perché esprimono autenticità in ogni loro anfratto.
- Coerenza nella strategia di comunicazione:
le poche marche che riescono a tracciare una linea definita e costante vengono percepite come stabili, e quindi sono più credibili. Se però cambiate spesso idea – o agenzia – e in azienda non avete un “guardiano della marca” rischiate la deriva.